La cultura e la pandemia, ma anche la cultura com’era “prima” della pandemia e il futuro che è necessario progettare.
è questo il focus del 16° Rapporto Annuale Federculture Impresa Cultura che quest’anno reca il sottotitolo “Dal tempo della cura a quello del rilancio” e cadendo nell’annus horribilis della pandemia da Covid-19 fa inevitabilmente il punto sullo stato del settore della cultura alle prese con la catastrofe che ha sconvolto la vita sociale, economica e culturale dell’intero pianeta.
Il volume ospita dalla viva voce dei rappresentanti delle principali aziende culturali del Paese il racconto di quanto avvenuto in questi mesi di emergenza e, attraverso i dati, descrive i diversi impatti che virus e lockdown hanno avuto sul mondo della cultura, dando però anche delle chiavi di lettura propositive per il futuro. Ma il Rapporto Federculture dedica anche un approfondimento ai venti anni che hanno preceduto l’attuale crisi per capire quali erano le dinamiche in atto prima che il Coronavirus destabilizzasse l’intero sistema e da dove ripartire quando la crisi sarà superata.
2000-2019. COME ERAVAMO PRIMA DEL CORONAVIRUS.
I dati dicono che la pandemia ha colpito molto duramente, ma ci indicano anche che nel momento in cui è arrivata la crisi già erano in essere tendenze non positive. L’analisi che il Rapporto dedica agli ultimi venti anni evidenzia una significativa riduzione delle risorse pubbliche per il settore culturale, principalmente da parte delle amministrazioni territoriali – Regioni, Province e Comuni – mentre tiene la spesa statale. Se nel 2000, infatti, complessivamente la spesa pubblica, statale e locale, per la cultura era pari a 6, 7 miliardi di euro, nel 2018 (anno di confronto per disponibilità di dati) era scesa a 5, 7 miliardi, un miliardo in meno; perso principalmente per il calo delle risorse di Comuni (-750 milioni, -27%), Regioni (-300 milioni, -23%), e Province (-220 milioni, -82%). Nel periodo, dopo una diminuzione nel primo decennio, risale invece lo stanziamento del MiBACT, grazie soprattutto ad un +48% dal 2010 al 2018. Una bassa spesa pubblica, dunque, che ci pone in fondo alle classifiche europee dove la media Ue dell’incidenza della spesa in cultura sulla spesa pubblica totale è del 2, 5%, mentre noi siamo fermi all’1, 6%.
A questo quadro sul fronte delle risorse corrisponde una linea di tendenza della domanda non positiva. Infatti, i dati sulla fruizione culturale – vale a dire la dimensione interna della partecipazione dei cittadini e dei loro consumi – disegnano un andamento che, seppure in crescita nell’intero periodo, negli anni finali del ventennio considerato segna dei numerosi cali. Ne è un esempio il cinema che fino al 2010 era in crescita del 12, 1%, ma nel periodo seguente perde il 6, 1% di fruitori; o il teatro che tra 2010 e 2019 ha visto un calo dell’8, 8%, e negli anni precedenti era cresciuto del 27, 3%. Andamento simile anche per i fruitori di concerti di musica classica e di quella leggera che negli ultimi dieci anni considerati (2010-2019) sono diminuiti rispettivamente del 4, 9% e del 4, 7%, mentre crescevano del 22, 5% e del 19, 6% nel decennio precedente.
Fanno eccezione gli ambiti della fruizione del patrimonio: i cittadini che visitano musei crescono del 21, 5% in venti anni e del 7% dal 2010, così come quelli che frequentano siti archeologici e monumenti segnano un +36, 8% tra 2001-e 2019, +19, 7% negli ultimi dieci anni. Un trend che può essere spiegato con l’intensa attività normativa e riformatrice che ha riguardato, in particolare negli anni più recenti, proprio il settore museale e del patrimonio, determinando cambiamenti e innovazioni che hanno dato impulso a questo ambito.
Il Rapporto Federculture, che analizza venti anni di produzione legislativa, evidenzia come questa, a partire dalla nascita delle Fondazioni e attraverso battute di arresto e slanci in avanti, abbia modificato le politiche di gestione della cultura verso una maggiore autonomia, che oggi, non solo per la contingente emergenza, appare messa in discussione. Proprio su questi cambiamenti sta imprimendo un’accelerazione l’attuale fase di crisi che ha impattato molto pesantemente sulla cultura. Il settore deve fare i conti con scenari totalmente mutati e con un impossibile ritorno alla “normalità” pre-crisi, almeno nel medio periodo. Anche per le imprese della cultura è necessario, dunque, ripensare i modelli produttivi, le condizioni di sostenibilità, il rapporto con i pubblici, le modalità di offerta e fruizione di contenuti ed esperienze di visita. Tutti aspetti che sono messi in luce nel Rapporto attraverso i contributi dei protagonisti del settore culturale italiano che costituiscono un vero e proprio racconto collettivo di quanto avvenuto negli ultimi mesi e dai dati raccolti con un’analisi sul campo.
L’IMPATTO DELLA CRISI.
Nei mesi di maggio e giugno 2020 Federculture ha somministrato ai propri associati un questionario sugli impatti della crisi da Covid-19 al quale hanno risposto 54 tra gli enti culturali più rappresentativi del settore nazionale, per lo più attivi nell’ambito espositivo e museale, 44%; e dello spettacolo, 41%, soprattutto del Centro e Nord del Paese e per la maggior parte Fondazioni, 52%. Attraverso le loro risposte si può disegnare un quadro abbastanza preciso di quello è accaduto in questi mesi: le chiusure forzate – anche senza considerare che in molti casi sono state nei fatti prolungate rispetto a quanto fissato nei decreti (per la maggior parte, l’80%, gli enti non hanno ripreso l’attività dopo il 18 maggio, Fase 2) – hanno determinato perdite rilevantissime. Oltre il 70% degli enti culturali ha stimato perdite di ricavi superiori al 40% del loro bilancio, ma il 13% prospetta perdite che superano il 60%. Pur in uno scenario tanto inedito quanto difficile, molti attori del comparto cultura hanno reagito veicolando la propria offerta tradizionale in forme del tutto nuove, anche lavorando in modalità nuove (in smart working per l’85% degli enti). Infatti, praticamente la totalità degli attori culturali, 80-100% a seconda dei settori, ha implementato i propri servizi a distanza. Inoltre, molte realtà hanno sperimentato anche la possibilità di offrire prodotti culturali nuovi ed innovativi per soddisfare da remoto la domanda di cultura dei cittadini. Specie nell’ambito museale, la produzione di visite virtuali, di dirette live o di programmi ad hoc, accessibili on demand, è andata ovunque ben oltre il 50% delle complessive proposte culturali fruibili a distanza. Quella nata, in un momento critico, come offerta suppletiva rispetto all’ordinario è stata ben presto percepita come un’offerta alternativa o, meglio ancora, come una declinazione aggiuntiva delle canoniche modalità di fruizione del prodotto culturale. Ben il 96% degli attori che hanno attivato servizi on line relativi alla propria attività dichiarano, infatti, di essere intenzionati a mantenerli nel proprio palinsesto anche dopo il pieno superamento della crisi e l’auspicato ritorno alla normalità. Ma proprio riguardo le aspettative sull’uscita dalla crisi solo il 22% immagina un ritorno alla normalità, mentre il 50% prospetta una riduzione e ridefinizione delle proprie attività, e ben il 73% teme una riduzione di fondi.
VERSO UNA NUOVA PRODUZIONE CULTURALE.
Pure tra incertezze e difficoltà, il comparto cultura nell’Italia segnata dall’emergenza Covid dimostra capacità di resistenza e di resilienza e conferma il proprio valore, il peso che ha nel bilancio dell’economia nazionale, ma soprattutto le potenzialità di sviluppo che ancora può offrire, sollecitando la scelta convinta e decisa di interventi strutturali. I protagonisti stessi del settore, convergono nell’indicare la necessità e l’urgenza di un’alleanza tra tutti gli attori in campo, per poter rilanciare il comparto cultura e scongiurare il pericolo che, esaurite le misure tampone, si inneschi una spirale negativa che potrebbe portare alla perdita di un’inestimabile bene dal valore sociale oltre che economico. Si tratta, dunque, di concretizzare politiche di ampio respiro e prospettiva: mettere a punto figure giuridiche innovative come l’impresa culturale, definire ed incentivare forme virtuose di parternariato pubblico-privato, sperimentare forme nuove e più efficienti di sostenibilità e di finanziamento delle politiche pubbliche.
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