“Otto parole”, performance di Elena Berriolo
Mercoledì 2 ottobre, alle 18, in occasione della mostra Sewn Words. Parole Cucite, l’artista Elena Berriolo realizzerà una performance inedita dal titolo “Otto parole”, ideata per Crumb Gallery.
Elena Berriolo, artista italiana che vive lavora a New York, si distingue per il suo approccio interdisciplinare che attraverso l’uso della macchina da cucire, strumento centrale nella sua pratica artistica, esplora il concetto di tempo, inteso come un dialogo continuo, fluido, tra passato presente e futuro. Un dialogo che Berriolo indaga attraverso proprio l’atto di tessere, cucire, riparare dando vita a libri d’artista e performances. Se i suoi primi lavori – installazioni, sculture, dipinti, arazzi – erano opere di grande formato, più monumentali, dal 2011 ad oggi ha fatto una scelta radicale: quella di dedicarsi quasi esclusivamente a una dimensione più intima, quella del libro. Ogni libro è un’opera unica che molto spesso ha origine proprio da performances. Ciò che rimane costante nella sua pratica artistica è il coinvolgimento del pubblico sia durante le sue azioni pubbliche che, più semplicemente, nell’invito a sfogliare le pagine dei libri esposti.
L’uso della macchina da cucire ha un’implicazione concettuale molto profonda, “…in grado di produrre – come sottolinea la Berriolo – una vera e propria linea tridimensionale molto simile a quella realizzata da Fontana con il suo coltello senza ferire la superficie come faceva lui con il coltello, ma soprattutto, mentre il gesto profondo del coltello è un atto di violenza sulla pelle dell’opera, la macchina da cucire produce una linea pacifica.” Una linea che in un libro può essere spostata e crescere nello spazio e nel tempo, senza interruzioni, profonda quanto il supporto stesso senza minarne la stabilità, che ne abbraccia i due lati, passa dal verso al recto, dal davanti al dietro in ugual modo, dividendolo senza romperlo. “Una linea – sempre per usare le parole dell’artista – che noi, ogni giorno della nostra vita, muoviamo nello spazio insieme alle cuciture dei nostri vestiti.”
Le sue performance sono denunce di situazioni di ingiustizia sociale, di degrado dell’ambiente, fino a quelle più politiche come We can mend for peace, una richiesta di pace che l’artista sta perpetrando dal 6 marzo 2022, inizialmente concepita come risposta all’invasione russa dell’Ucraina, per abbracciare poi altre crisi internazionali, inclusi i conflitti in Medio Oriente. L’artista, attraverso un gesto deciso di strappo e successiva riparazione del tessuto, invita il pubblico a riflettere sulla fragilità della pace e sulle azioni necessarie per ricostruirla, e ogni telo ricucito diventa una pagina di un libro unico. Come lei stessa afferma: “Strappare, distruggere, è un gesto breve. Ricucire richiede tempo e cura, ma è possibile”.
Sewn Words. Parole Cucite si focalizza sul percorso artistico intrapreso da Elena Berriolo dal 2011 ad oggi. In mostra una selezione dei suoi libri, esposti su dei leggii come fossero partiture musicali: la musica è un’altra componente importante di questi lavori, appartiene al ritmo del cucire ma anche alla musica stessa che la realizzazione di un’opera produce, una musica interiore. Ogni pagina di ogni libro, conduce alla successiva, attraverso il filo. Su ognuna l’artista interviene con parole, testi, agisce con il colore, acquerelli, foglie, spine, intinte nell’inchiostro. Così sono nati alcuni libri dedicati, o meglio in conversazione con personaggi del mondo della letteratura, dell’arte, della musica come: Emiliy Dickinson, inspirato a un suo breve poema “But are not all facts dreams as soon as we put them behind us (Ma non tutti i fatti sono sogni, non appena ce li siamo lasciati alle spalle)” scritto dalla poetessa su un piccolo pezzo di busta; Transcription and variation of Jazz (by Matisse) with Sewing Machine, un’esplosione di colore, che fa parte di una piccola serie su artisti canonici che “avrebbero dovuto” usare la macchina da cucire come Lucio Fontana e Ellsworth Kelly; Maria Callas; In Conversation With the Spider, un omaggio a Louise Bourgeois che ha realizzato molti libri d’artista come Ode à l’Oubli. Due sono stati creati ascoltando Philip Glass, Opening Philip Glass e Metamorphosis, “danzando” con il filo e l’ago sulla carta pigiando il piede della macchina da cucire.
Ci sono anche alcuni libri sulla natura come Summer day, I am a Beetle, il primo di questa serie, realizzato in seguito a un’infestazione di coleotteri giapponesi nella sua proprietà a Milanville in Pensilvania, dove ha utilizzato immerse nell’inchiostro, le foglie mangiate dagli insetti, pressate poi sulla carta. L’azione dei coleotteri di perforare le foglie è simile a quella dell’ago della macchina da cucire che trapassa la carta. In My Thorny Rose Brush ha adoperato ramoscelli di rose selvatiche, molto spinosi con cui ha accarezzato le pagine, come fossero pennelli intinti in inchiostro nero e rosa. In Maybe I was a bottle, racconta invece la magica trasformazione nel tempo, attraverso l’impatto dell’acqua, di materiali scaricati nel mare.
Per Crumb Gallery ha creato ad hoc, uscendo, dopo molto tempo, dall’esclusività del formato ‘libro’, un’installazione a parete, composta da tre serie distinte di cinque elementi ciascuna: Parole Dette, Parole non Dette e Parole Scritte. Questi lavori esplorano la comunicazione verbale, come le parole, oltrepassando i limiti della pagina, si espandano in una dimensione più grande e complessa, evidenziando il processo creativo stesso come un atto fisico e mentale: “Le parole sono più grandi delle pagine” come recita il titolo del saggio di Barbara Montefalcone nel catalogo della mostra (edizioni NoLines, che comprende anche un’intervista all’artista di Rory Cappelli), una metafora per il modo in cui l’artista vede il linguaggio come forza che travalica i limiti fisici e materiali.