Enrico Fermi (Roma, 29 settembre 1901 – Chicago, 28 novembre 1954) è stato un fisico italiano naturalizzato statunitense.
Noto principalmente per gli studi teorici e sperimentali nell’ambito della meccanica quantistica e della fisica nucleare, tra i maggiori contributi si possono citare la teoria del decadimento beta, la statistica di Fermi-Dirac e i risultati riguardanti le interazioni nucleari.
Ci sono soltanto due possibili conclusioni: se il risultato conferma le ipotesi, allora hai appena fatto una misura; se il risultato è contrario alle ipotesi, allora hai fatto una scoperta.
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Conobbi il senatore Orso Mario Corbino quando tornai a Roma appena laureato, nel 1922. Io avevo allora venti anni e il Corbino quarantasei; era senatore, era già stato ministro della Pubblica Istruzione ed inoltre era universalmente noto come una delle personalità più eminenti nel campo degli studi. Fu perciò con una spiegabile titubanza che mi presentai a Lui; ma la titubanza sparì subito di fronte al modo insieme cordiale e interessante con cui Egli prese a discutere con me dell’argomento dei miei studi. Avemmo in quel periodo conversazioni e discussioni quasi quotidiane, per effetto delle quali non solo mi si chiarirono molte idee che avevo confuse, ma nacque in me la profonda e sentita venerazione del discepolo verso il maestro, venerazione che andò sempre crescendo negli anni che ebbi la fortuna di passare nel suo laboratorio.
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Io non esito a dichiararVi, e non lo dico quale espressione iperbolica, che fra tutti gli studiosi italiani e stranieri che ho avuto occasione di avvicinare il Majorana è fra tutti quello che per profondità di ingegno mi ha maggiormente colpito.
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La mia opinione all’epoca era che si dovesse mettere fuori legge la superbomba prima che fosse nata. Pensavo più o meno che sarebbe stato più facile mettere fuori legge, attraverso un qualche accordo internazionale, qualcosa che non esisteva.
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La professione del ricercatore deve tornare alla sua tradizione di ricerca per l’amore di scoprire nuove verità. Poiché in tutte le direzioni siamo circondati dall’ignoto e la vocazione dell’uomo di scienza è di spostare in avanti le frontiere della nostra conoscenza in tutte le direzioni, non solo in quelle che promettono più immediati compensi o applausi.
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[Sulla bomba a idrogeno] Non esistono limiti alla distruttività di quest’arma [… ] la sua stessa esistenza [è] un pericolo per l’umanità.
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Sono trascorsi molti anni, ma ricordo come se fosse ieri. Ero giovanissimo, avevo l’illusione che l’intelligenza umana potesse arrivare a tutto. E perciò m’ero ingolfato negli studi oltre misura. Non bastandomi la lettura di molti libri, passavo metà della notte a meditare sulle questioni più astruse. Una fortissima nevrastenia mi obbligò a smettere; anzi a lasciare la città, piena di tentazioni per il mio cervello esaurito, e a rifugiarmi in una remota campagna umbra. Mi ero ridotto a una vita quasi vegetativa: ma non animalesca. Leggicchiavo un poco, pregavo, passeggiavo abbondantemente in mezzo alle floride campagne (era di maggio), contemplavo beato le messi folte e verdi screziate di rossi papaveri, le file di pioppi che si stendevano lungo i canali, i monti azzurri che chiudevano l’orizzonte, le tranquille opere umane per i campi e nei casolari. Una sera, anzi una notte, mentre aspettavo il sonno, tardo a venire, seduto sull’erba di un prato, ascoltavo le placide conversazioni di alcuni contadini lì presso, i quali dicevano cose molto semplici, ma non volgari né frivole, come suole accadere presso altri ceti. Il nostro contadino parla di rado e prende la parola per dire cose opportune, sensate e qualche volta sagge. Infine si tacquero, come se la maestà serena e solenne di quella notte italica, priva di luna ma folta di stelle, avesse versato su quei semplici spiriti un misterioso incanto. Ruppe il silenzio, ma non l’incanto, la voce grave di un grosso contadino, rozzo in apparenza, che stando disteso sul prato con gli occhi volti alle stelle, esclamò, quasi obbedendo ad una ispirazione profonda: “Com’è bello! E pure c’è chi dice che Dio non esiste”. Lo ripeto, quella frase del vecchio contadino in quel luogo, in quell’ora: dopo mesi di studi aridissimi, toccò tanto al vivo l’animo mio che ricordo la semplice scena come fosse ieri. Un eccelso profeta ebreo sentenziò, or sono tremil’anni: “I cieli narrano la gloria di Dio”. Uno dei più celebri filosofi dei tempi moderni scrisse: “Due cose mi riempiono il cuore di ammirazione e di reverenza: il cielo stellato sul capo e la legge morale nel cuore”. Quel contadino umbro non sapeva nemmeno leggere. Ma c’era nell’animo suo, custoditovi da una vita onesta e laboriosa, un breve angolo in cui scendeva la luce di Dio, con una potenza non troppo inferiore a quella dei profeti e forse superiore a quella dei filosofi.
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[Formula del Paradosso di Fermi] “Dove sono tutti quanti?”
“Where is everybody?”
Enrico Fermi. (2022, marzo 17). Wikiquote, Aforismi e citazioni in libertà. Estratto il 07:10, giugno 20, 2022 da https://it.wikiquote.org/w/index.php?title=Enrico_Fermi&oldid=1199722.
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Enrico Fermi Premio Nobel per la fisica 1938