Italo Calvino (Santiago de Las Vegas de La Habana, 15 ottobre 1923 – Siena, 19 settembre 1985) è stato uno scrittore italiano.
A un certo punto era solo questo rapporto a interessarmi, la mia storia diventava soltanto la storia della penna d’oca della monaca che correva sul foglio bianco.
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Caro Pasolini, alla lettera editoriale ufficiale ne allego una personale, perché da tempo volevo scriverti quanto il Canzoniere italiano mi sia piaciuto, quanto lo stimi un libro bello e importante. […] (Però, porcamiseria, perché scrivi così difficile? State mettendo in voga un gusto dello scrivere difficile che non è quello sfuggente degli ermetici perché è invece sforzo di precisione, ma che ha dietro il divertimento universitario continiano di origine tedesca; però con l’allusività ermetica ci ha quel tanto di parentela da dargli un’aria demodée. Siete una squadra lì a Roma, tu, Citati, Garboli, che dopo il fatto che avete cominciato a pubblicare qualche anno dopo il ’45, tac! vi è venuto in mente di riattaccarvi alle Giubbe Rosse, cosa che a nessun altro verrebbe più in mente.)
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[Su Cristo si è fermato a Eboli] C’è nel libro un alto livello intellettuale, vi si respira la cultura europea in cui Carlo Levi ha affondato le sue radici, diciamo la cultura europea fino a quell’epoca, fino alla seconda guerra mondiale; c’è la passione di sistemarne tutti i dati di un discorso coerente, e non ancora il timore di spezzare l’armonia d’una sistemazione con nuove acquisizioni, con nuove messe in questione; non ancora insomma l’olimpicità culturalmente paga di se stessa che Carlo Levi si forgiò in seguito come una corazza contro tanta parte del problematismo contemporaneo. Con Paura della libertà la passione dell’intelligenza in un momento di scacco generale muove a inglobare e classificare istituzioni, miti, personaggi storici, movimenti profondi dell’animo umano.
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Cecchi era considerato poco meno che un nemico. […] l’immagine di Cecchi era legata ai comportamenti negli anni della censura e del conformismo di Stato, soprattutto per essersi prestato a far da pompiere nella battaglia di Vittorini sulla barricata della letteratura americana, cioè quella che era stata a quei tempi la bandiera rivoluzionaria dei giovani. Ma ogni generazione ha la sua ottica, e una volta dato per scontato che Cecchi era sempre stato un conservatore per temperamento e per convinzione, si trattava per me di vedere in positivo cosa poteva trasmettermi la sua esperienza.
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Certe cose sulla vita partigiana nessuno le ha mai dette, nessuno ha mai scritto un racconto che sia anche la storia del sangue nelle vene, delle sostanze nell’organismo.
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Certo nella sua opera [di Henry James], tutta sotto il segno dell’elusività, del non detto, della ritrosia, questo [Daisy Miller] si presenta come uno dei racconti più chiari, con un personaggio di ragazza pieno di vita, eppure è un racconto non meno misterioso degli altri di questo introverso autore, tutto intessuto com’è dei temi che s’affacciano, sempre tra luce e ombra, lungo l’intera sua opera.
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[Su George Orwell] Che si sia tardato ad ascoltarlo e comprenderlo non fa che provare quant’era in avanti rispetto alla coscienza dei tempi.
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[Sull’ispirazione] Ci metto molto a iniziare se ho l’idea per un romanzo, trovo ogni scusa possibile per non lavorarci. Una volta iniziato, so essere molto veloce.
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Dati biografici: io sono ancora di quelli che credono, con Croce, che di un autore contano solo le opere. (Quando contano, naturalmente.) Perciò dati biografici non ne do, o li do falsi, o comunque cerco sempre di cambiarli da una volta all’altra. Mi chieda pure quel che vuol sapere, e Glielo dirò. Ma non Le dirò mai la verità, di questo può star sicura.
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Dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buonafede, più idealista, c’erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l’Olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c’era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, chè di queste non ce ne sono.
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È difficile associare l’idea della morte – e fino a ieri quella della malattia – alla figura di Vittorini. Le immagini della negatività esistenziale, fondamentali per tanta parte della letteratura contemporanea, non erano le sue: Elio era sempre alla ricerca di nuove immagini di vita. E sapeva suscitarle negli altri.
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Era ora. Da vent’anni la letteratura italiana ha uno scrittore che non assomiglia a nessun altro, inconfondibile in ogni sua frase, un inventore inesauribile e irresistibile nel gioco del linguaggio e delle idee… Manganelli è il più italiano degli scrittori e nello stesso tempo il più isolato nella letteratura italiana.
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Hemingway è figlio delle contraddizioni di un’epoca: ribelle e denunciatore per un verso, ma per un altro senza fiducia in un avvenire, e invece disperatamente in cerca di un mito oscuro di antichità: l’Europa, il Cattolicesimo, l’Italia, la Spagna.
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Il genere umano è una zona del vivente che va definita circoscrivendone i confini.
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Il luogo ideale per me è quello in cui è più naturale vivere da straniero.
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Io credo alla pedagogia repressiva. Mi rendo conto di essere molto antiquato in questo, ma continuo ad essere convinto che resti il miglior metodo d’educazione alla cultura.
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Io sono la pecora nera, l’unico letterato della famiglia.
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La prima parte dell’Isola del Tesoro, quando ancora il meccanismo dell’avventura non è scattato, e regna ancora il senso dell’attesa, si può dire sia la più bella […], in tutte queste pagine l’atto di raccontare raggiunge, coi mezzi più semplici, una delle sue più alte vette mondiali; e il fatto che s’usino ingredienti narrativi logori […] non fa mai perdere il sapore genuino d’Inghilterra tra mare e campagna che circola per ogni pagina. Poi, man mano che l’avventura si sviluppa […] e man mano che Hawkins, il ragazzo, diventò, come tutti i protagonisti di romanzi per l’infanzia, un troppo facile collezionista d’imprese eroiche quanto fortunate, il libro, privo di quel fondo d’esperienza vera, che lo sosteneva al principio, rischia spesso la caduta nel romanzo d’appendice vero e proprio, e sempre si salva per la sua meravigliosa leggerezza, per la grazia con cui i colori della scena, lo scorrer via delle frasi, lo scattare dei sentimenti riempiono l’attenzione del lettore di qualcosa che va al di là del prevedibile interesse per l’intreccio.
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[Su Dormire al sole] La rappresentazione della vita quotidiana […] è d’una continua comicità e spontaneità caricaturale […]. È un mondo che può ricordare lo sgangherato mondo popolare di Queneau, anche come registrazione di discorsi casalinghi o al caffè, e anche un po’ la regressione dei personaggi di Gianni Celati e le loro gags verbali, ma senza lo spessore del sottolinguaggio, tutto più sulla commedia […] L’intrigo «metafisico» del romanzo, con le anime scambiate, gli esperimenti coi cani ecc. è quanto mai rudimentale e sgangherato. Il romanzo vive per il grottesco della commedia popolare d’un mondo di tonti e per la vitalità dei personaggi e delle macchiette. Sarei favorevole a pubblicarlo perché si legge con grande facilità e divertimento […].
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[Su George Orwell] […] libellista di second’ordine.
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Lord Jim è un giovane che abbraccia la carriera di capitano marittimo con un ideale di eroismo e abnegazione… Egli punta tutto sul grande momento della prova suprema in cui dimostrerà tutto il suo valore.
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[Thomas Mann] Lui capì tutto o quasi del nostro mondo, ma sporgendosi da un’estrema ringhiera dell’Ottocento. Noi vediamo il mondo precipitando nella tromba delle scale.
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[Italo Calvino, tre chiavi, tre talismani per il 2000] Mah! imparare delle poesie a memoria, molte poesie a memoria; da bambini, da giovani, da vecchi. Le poesie fanno compagnia, uno se le ripete mentalmente; e poi lo sviluppo della memoria è molto importante.
Secondo: puntare solo sulle cose difficili, eseguite alla perfezione, le cose che richiedono sforzo; diffidare della facilità, della faciloneria, del fare tanto per fare. E combattere l’astrattezza del linguaggio che ci viene imposta ormai da tutte le parti. Puntare sulla precisione, tanto nel linguaggio quanto nelle cose che si fanno. Terzo: sapere che tutto quello che abbiamo può esserci tolto da un momento all’altro. Con questo non dico mica di rinunciare a niente; anzi, godiamocelo più che mai, però sapendo che da un momento all’altro tutto quello che abbiamo può sparire in una nuvola di fumo.
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[Parlando del padre Mario] Mi proponevo di fargli raccontare dettagliatamente la sua vita avventurosa (che poteva darmi materia per più d’un romanzo!) ma tardai troppo a mettere in atto questo proposito anche perché non abitavo più a San Remo e lo vedevo di rado. A settantacinque anni fu colpito da trombosi ed era ormai troppo tardi. M’è rimasto il rimorso di non aver raccolto le sue memorie.
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Nell’eros come nella ghiottoneria, il piacere è fatto di precisione.
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Nella mia vita ho incontrato donne di grande forza. Non potrei vivere senza una donna al mio fianco. Sono solo un pezzo d’un essere bicefalo e bisessuato, che è il vero organismo biologico e pensante.
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Noi le parole di Matteo Salvatore le dobbiamo ancora inventare.
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Oggi il linguaggio politico italiano si è molto complicato, tecnicizzato, intellettualizzato, e credo che tenda a saldarsi in un arco che comprende cattolici e marxisti […] più a non dire che a dire […] il linguaggio “obiettivo” del telegiornale, quando riassume i discorsi dei leaders politici: tutti ridotti a minime variazioni della stessa combinazione di termini anodini, incolori e insapori. Insomma, il vocabolo semanticamente più povero viene sempre preferito a quello semanticamente più pregnante.*Per il giovane, la donna è quel che sicuramente c’è.
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Quando ho cominciato a scrivere Il visconte dimezzato, volevo soprattutto scrivere una storia divertente per divertire me stesso e possibilmente anche gli altri; avevo questa immagine di un uomo tagliato in due ed ho pensato che questo tema dell’uomo tagliato in due, dell’uomo dimezzato fosse un tema significativo, avesse un significato contemporaneo: tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l’altra.
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Questa dell’amore per le cose di cui parla è una caratteristica che bisogna tener presente se si vuole riuscire a definire la singolarità dell’operazione letteraria di Levi. Perché quest’uomo che si dice sempre che mette se stesso al centro d’ogni narrazione, che fa scaturire sempre attorno alla sua presenza incontri straordinari, è poi lo scrittore piú dedito alle cose, al mondo oggettivo, alle persone. Il suo metodo è di descrivere con rispetto e devozione ciò che vede, con uno scrupolo di fedeltà che gli fa moltiplicare particolari e aggettivi. La sua scrittura è un puro strumento di questo suo rapporto amoroso col mondo, di questa fedeltà agli oggetti della sua rappresentazione.
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Stevenson si trovava, rispetto alla narrativa storico-avventurosa del romanticismo, in una posizione simile a quella di Ariosto e di Cervantes, uomini colti e moderni, rispetto alla tradizione esausta della letteratura cavalleresca. Ma Ariosto e Cervantes operarono, ognuno a suo modo, un capovolgimento, entrarono in polemica con quel mondo; mentre Stevenson, con tutta la sua raffinata educazione letteraria, dice di preferire a ogni altro libro Il visconte di Bragelonne, e si volta a quelle rappresentazioni di virtù esatte e risolute, a quella limpidezza di contorni nelle vicende umane, a quella salute che sprizza fuori da tutti i pori degli eroi romanzeschi tradizionali, in implicita opposizione a un mondo che gli appare carico d’ipocrisie e di disperazione, carico di quel greve senso di malattia e di disgregazione che egli si trascina dietro nel suo corpo di tubercolotico, da un sanatorio all’altro, per tutta Europa, tra letto e chaise-longue e scrivania.
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Tutta la sua opera mira all’enciclopedia […]. Si parla sempre dell’impareggiabile fantasia di Verne nel prevedere le invenzioni scientifiche. In realtà era un grande lettore di riviste scientifiche, che arricchiva di quello che via via veniva a sapere sulle ricerche in corso.
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Tutto può cambiare, ma non la lingua che ci portiamo dentro, anzi che ci contiene dentro di sé come un mondo più esclusivo e definitivo del ventre materno.
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Un episodio talmente privo di qualsiasi verità e sensibilità (tale da restare un punto nero per il regista e gli sceneggiatori che ne sono responsabili) ci prova a quali risultati di non-verità può portare una costruzione a freddo di film a ossatura ideologica.
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Un libro straordinario, Centuria, la cui ricchezza di motivi non posso propormi d’esplorare in questa nota, intesa solo a offrire un inquadramento generale dell’opera di Manganelli e a invitare a valicarne la soglia.
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Un libro (io credo) è qualcosa con un principio e una fine (anche se non è un romanzo in senso stretto), è uno spazio in cui il lettore deve entrare, girare, magari perdersi, ma a un certo punto trovare un’uscita, o magari parecchie uscite, la possibilità di aprirsi una strada per venirne fuori.
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Zig zag tracciato dai cavalli al galoppo e dalle intermittenze del cuore umano.
Italo Calvino. (2022, ottobre 1). Wikiquote, Aforismi e citazioni in libertà. Estratto il 20:57, novembre 15, 2022 da https://it.wikiquote.org/w/index.php?title=Italo_Calvino&oldid=1229633.
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foto di Johan Brun – Oslo Museum/Digitalt Museum (Wikimedia Commons)