Lo studio, condotto dal MUSE Museo delle Scienze insieme a una trentina di enti di ricerca internazionali e pubblicato su PLOS Biology, ha raccolto e analizzato 70 anni di segnalazioni relative ad attacchi a persone da parte di 12 specie di grandi carnivori in tutto il mondo. Identificati i principali fattori che determinano il verificarsi di questi attacchi e le specie principalmente coinvolte (felidi e canidi). Si tratta del primo studio globale su questo tema.
I grandi carnivori da sempre affascinano e ispirano le società umane, ma possono allo stesso tempo costituire una minaccia per le persone che si trovano a dover condividere con loro ambiente e risorse.
Seppure si tratti di eventi molto rari, gli attacchi dei grandi carnivori alle persone rappresentano una delle sfide di conservazione e coesistenza più complesse, in quanto possono influire, direttamente o indirettamente, anche sulla conservazione dei grandi carnivori stessi. Gli animali coinvolti in questi eventi, infatti, vengono spesso abbattuti o rimossi durante o dopo l’incidente. Inoltre, anche grazie all’attenzione mediatica che attirano, questi eventi possono influenzare drasticamente le attitudini delle persone nei confronti delle specie coinvolte. È quindi prioritario riuscire a ridurre questo tipo di incidenti e – a tal fine – risulta fondamentale acquisire conoscenze approfondite sulle dinamiche e sui fattori che possono aumentarne il rischio.
In alcune regioni del mondo, inclusa l’Europa, i grandi carnivori stanno ricolonizzando i loro areali storici, a seguito di diverse trasformazioni sia ambientali che socioeconomiche. Questo ritorno ha portato popolazioni di grandi carnivori a insediarsi in aree in cui gli habitat sono frammentati e occupati da città, strade, terreni agricoli, e altre attività umane. In queste aree, i conflitti possono essere particolarmente aspri, poiché le persone non sono più abituate a convivere con i grandi predatori.
In altre aree del mondo, invece, le popolazioni di grandi carnivori sono in declino a causa dell’espansione delle popolazioni umane che causano distruzione, frammentazione e degrado degli habitat. In entrambi gli scenari, la stretta coesistenza che ne deriva comporta inevitabilmente un aumento delle interazioni con le comunità locali.
In un nuovo studio pubblicato sulla rivista PLOS Biology la ricercatrice del MUSE, insieme a diversi altri esperte ed esperti internazionali, ha raccolto e analizzato oltre 5000 casi di attacchi alle persone registrati tra il 1950 e il 2019. La ricerca si è concentrata sulle specie di grandi carnivori terrestri maggiormente coinvolte in questo tipo di conflitti, tra cui anche tigri, leoni, orsi e lupi e ha considerato solamente quelle interazioni in cui il contatto fisico con l’animale ha portato al ferimento o alla morte della persona coinvolta.
L’indagine ha evidenziato interessanti differenze negli scenari e nelle frequenze in cui avvengono queste interazioni negative. Differenze legate sia alla diversa ecologia delle specie considerate, sia al contesto socioeconomico e ambientale locali.
Gli attacchi avvenuti nelle aree cosiddette “ad alto reddito”, come ad esempio Europa e Nord America, si sono verificati più comunemente mentre le persone coinvolte stavano svolgendo attività ricreative, come escursionismo, campeggio o passeggiate con i cani, mentre quasi il 90% degli attacchi registrati nelle aree geografiche “a basso reddito” si è verificato durante attività di sostentamento come l’agricoltura, la pesca o il pascolo del bestiame.
“Felidi e canidi – spiega la ricercatrice del MUSE Giulia Bombieri – sono risultati i gruppi di specie maggiormente coinvolti in attacchi predatori, i più letali per le persone, mentre gli attacchi da parte di orsi sono quasi sempre difensivi, per esempio nei casi in cui questi vengono inavvertitamente sorpresi a distanza ravvicinata, oppure in difesa dei cuccioli o di fonti di cibo. La maggior parte degli attacchi mortali è stata registrata nei Paesi a basso reddito, nei quali si è verificata gran parte degli attacchi predatori da parte di grossi felidi come leoni e tigri”.
Notevoli differenze sono state riscontrate anche nelle circostanze e frequenze di attacchi da parte della stessa specie in aree geografiche diverse, a dimostrazione di come il contesto ambientale e socioeconomico umano siano fattori determinanti nel definire la tipologia di rapporti e interazioni tra persone e grandi carnivori.
Secondo autrici e autori, gli approcci per ridurre questo tipo di conflitti dovrebbero quindi essere adattati non solo alle specie, ma anche al contesto socioeconomico e ambientale in cui si opera.
Appare chiaro che nei Paesi ad alto reddito, dove la maggior parte delle interazioni con i grandi predatori avviene quando le persone entrano in aree frequentate dai grandi carnivori per svolgere attività ricreative e dove gli attacchi sono soprattutto una conseguenza di comportamenti inappropriati da parte delle persone, campagne di educazione rivolte a visitatori e residenti nelle aree con grandi carnivori sui comportamenti da adottare possono risultare efficaci per ridurre in maniera importante questo rischio.
Al contrario, nei Paesi a basso reddito, dove la coesistenza con i grandi carnivori è per lo più involontaria e obbligata, e gli attacchi di tipo predatorio sono più frequenti, le strategie per migliorare la coesistenza tra comunità locali e grandi predatori sono sicuramente più complesse e rappresentano una sfida importante.
Leggi l’articolo in PLOS Biology
Immagine in evidenza: Leopardo. Foto di Giulia Bombieri (part.)