La moda nel mondo: i vestiti raccontano la vita dei popoli
In principio era la seta. E con la seta, brillante e preziosa come l’oro, in Cina – mancavano ancora tremila anni alla nascita di Cristo – nacquero il lusso e la moda. Spetta dunque all’abbigliamento cinese il posto d’onore nella mostra “La moda nel mondo: i vestiti raccontano la vita dei popoli”, che si terrà a Parma, Capitale Italiana della Cultura 2020, dal 26 gennaio al 31 dicembre al Museo d’Arte Cinese ed Etnografico della città ducale.
Le sale del modernissimo museo diventeranno un vero e proprio atlante dell’abbigliamento.
Ci saranno, dalla Cina, abiti liturgici della tradizione taoista: Gipao (l’abito tradizionale femminile), e Fengguo, nati per difendersi dal vento delle steppe, accompagnati da ricchi abiti di corte.
Saranno presenti in esposizione anche le calzature femminili tipiche del grande impero, le scarpette con tacco a zoccolo, oltre all’ornamento nuziale: collare in tubolare a sezione rettangolare la cui faccia superiore rappresenta due draghi (simbolo di fertilità maschile).
Dall’Indonesia, scialli della cultura Batak dell’isola di Sumatra e abiti maschili tradizionali.
E ancora, dal Giappone, giacche Haori rigorosamente di seta, con gli stemmi di famiglia “mon”, parasole di bambù e carta giapponese dipinta, Kimono femminili e Obi per donne sposate; dal Sudan, zucchetti, scarpe e babbucce tribali; dal Ghana, tessuti cerimoniali in seta della tribù Ashant; dal Burkina Faso un abito tradizionale composto di tunica e pantaloni; dal Bangladesh il Burqa delle donne musulmane bengalesi e parure di gioielli; dal Camerun le collane Kweyma KJella e le cavigliere di alluminio decorate a testa di uccello.
Vasto il repertorio proveniente dalla Repubblica Democratica del Congo. Vasto e inquietante.
La mostra ospiterà gli elementi di abbigliamento tradizionale che costituiscono il corredo classico, l’emblema di appartenenza, della misteriosa società “segreta” iniziatica “Bwami”.
La setta è segreta per quanto riguarda i riti e gli insegnamenti che vi si apprendono e la violazione dell’arcano comporta la morte.
L’appartenenza può essere rivelata ed anzi, far sapere che si è membri della società, è un onore.
La mostra temporanea del Museo d’Arte Cinese esporrà vestiti e paramenti di maschi e femmine che hanno raggiunto il massimo grado dell’associazione, “lutumbo lwa Kindi” e “Kanyamwa”.
Ci saranno i copricapo maschili nkumbu e sawamazembe, i muzombolo femminili, decorati con piume e bottoni, fasce decorate con le conchiglie – moneta conosciute come Cauri, gonnellini in fibra vegetale, bandoliere mukoma, fasce pettorali (guai a chiamarle reggiseni) e diademi.
Sorprendente l’angolo dedicato alle popolazioni amazzoniche: non mancherà nulla del corredo decorativo del popolo Kayapò, in un meraviglioso profluvio di piume e tessuti vegetali.
Grazie all’abbigliamento e agli ornamenti è facile intuire, in qualsiasi popolo, l’appartenenza a una tribù, uno stato sociale, un’etnia.
L’abbigliamento è una vera e propria forma di comunicazione codificata e facilmente interpretabile a livello sociale.
E al Museo d’Arte Cinese di Parma sarà possibile leggere tante storie.
Ad impreziosire gli abiti in mostra saranno i busti sartoriali in lino e manichini bimbo della linea Schläppi 4000 realizzati da Bonaveri.
Inaugurazione per il pubblico: domenica 26 gennaio ore 15.
Museo d’Arte Cinese ed Etnografico
viale San Martino, 8
43123 Parma
0521 257337; museocineseparma.org; info@museocineseparma.org
Orari: da martedì a sabato dalle ore 9.00 alle 13 e dalle 15 alle 19; domenica 26 gennaio: dalle 15, le altre domeniche dalle 11 alle 13 e dalle 15 alle 19; chiusura il lunedì e le festività nazionali