“La leggenda del santo bevitore” di Joseph Roth
Da un capolavoro della letteratura del ‘900, La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth, lo spettacolo che Andrée Ruth Shammah ha pensato originariamente per Piero Mazzarella, è di quelli che lasciano il segno, costruito su contrasti espressivi di struggente poesia, fra diversi personaggi, umani fallimenti e confronto con l’assoluto.
La magica parabola di un clochard spinto fuori dal suo torpore da un misterioso benefattore, è la storia di un’esistenza perduta dietro alle occasioni della vita, ma protesa fino alla morte verso l’adempimento di un dovere morale.
Portentosi colpi di fortuna, imprevedibili incontri, inaspettati guadagni, stupefacenti rinvenimenti che si dissolvono nell’alcool, sono raccontati, in questa edizione, con profonda e fragile umanità, da Carlo Cecchi, protagonista e narratore ad un tempo.
A seconda dei significati che vi si intende ricercare, il fascino de La leggenda del santo bevitore si scopre nella pluralità di contenuti che vi si possono rintracciare.
In ciò, Roth segue fedelmente la tradizione chassidica del racconto orale, che impartisce insegnamenti attraverso la narrazione di storie mistiche, profonde ed estremamente umane.
Nel portarlo in teatro, Andrée Ruth Shammah restituisce al racconto la vitalità della comunicazione orale, rifrangendola in una pluralità di io narranti.
Il racconto dell’attore include il racconto dell’autore che, a sua volta, include quello del personaggio.
Si aggiunga il racconto che lo spettacolo, di per sé, svolge attraverso le suggestioni e le indicazioni della messa in scena.
La narrazione è costruita su tre personaggi e una giostra di immagini.
Come nel racconto di Roth, il protagonista incontra alternativamente un uomo o una donna, che sviluppano rapporti individuali.
La società e la storia non figurano, vivono nella mente dell’autore e appaiono attraverso proiezioni fantasmatiche, che rimandano lontano nel tempo, alla storia d’Europa, ma anche a quella dell’uomo, dei suoi desideri, delle sue traversie.
Lo stesso bar dove si svolge la vicenda è una suggestione visiva.
Eliminate le proiezioni, rimane il vecchio armamentario del teatro: carta, legno, tela.
Le immagini entrano nello spettacolo come memoria e fantasia, sostenute da una colonna sonora struggente che va da Stravinskij al jazz, dalle melodie yiddish e russe alla musica parigina.
Non c’è spazio per chiedersi che senso abbiano i fatti che accadono in scena, ma si percepisce la corposità dei temi ai quali alludono: l’identità, l’onore, l’assimilazione, l’isolamento, l’eros, la religione, la morte.
LA LEGGENDA DEL SANTO BEVITORE
di Joseph Roth
regia Andrée Ruth Shammah
con Carlo Cecchi
e con Roberta Rovelli e Giovanni Lucini
spazio scenico disegnato da Gianmaurizio Fercioni
con le suggestioni visive di Luca Scarzella e Vinicio Bordin
luci Marcello Jazzetti
costumi Barbara Petrecca
produzione Teatro Franco Parenti