Welfare Lear – Ovvero come sopravvivere in vecchiaia alla tassa di successione e vivere più o meno felici, forse
Debutterà in prima nazionale, dal 10 al 13 luglio, nell’ambito del Festival Shakespeariano – Estate Teatrale Veronese, presso il Bastione delle Maddalene, “Welfare Lear – Ovvero come sopravvivere in vecchiaia alla tassa di successione e vivere più o meno felici, forse”, da “King Lear” di W. Shakespeare, drammaturgia e adattamento di Andrea de Manincor, regia di Solimano Pontarollo. In scena: Andrea de Manincor, Riccardo Bodini, Sabrina Modenini, Giulia Cailotto, Giulia Lacorte, Solimano Pontarollo.
NOTE DI REGIA
L’anno appena passato in relazione con LEAR mi restituisce due importanti contrapposizioni: quella dell’adulto, uno splendido fiore forte, maturo, pronto, forse da troppo tempo, a prendere in mano non solo la sua vita ma la gestione della sua quota di società, intendendo con questa la società civile, la società familiare, la società economica, prendendo il posto dell’anziano; dalla parte opposta la posizione o meglio la visione, di chi è uno splendido fiore appena sbocciato, cresciuta magari in ambienti “diversi” (la Wittenberg di Amleto è il nostro Erasmus) e che vede nell’anziano il saggio da ascoltare, la persona da accudire, il ricordo da venerare. Una contrapposizione rappresentata da una parte da Gonerilla, da Regana e da Edmund e dall’altra da Cordelia. Già la prevaricante superiorità numerica permette agli adulti maturi della storia la possibilità di esercitare una forza maggiore, sia nei confronti dell’anziano da sostituire, che della giovane impulsiva e giudicante. Ma la necessità di farlo, di prendere in mano appunto la situazione, uscendo dallo splendido fiore che ormai rischia di sfiorire, avviene con troppa sicurezza, arroganza, mancanza di dubbi. Il percorso che vedo nei tre interpreti maturi sopra elencati è quindi quello che parte da una spinta, forse eccessiva, sicuramente determinata e potente, che arriva però a strappare le radici, condannando il potenziale “frutto” ad una rovinosa caduta. Il fiore giovane invece, Cordelia, che preferisce la purezza, la difesa, la rinuncia, prende coscienza di sé e della sua forza troppo tardi, arrivando quindi ad un’azione fisica, violenta anch’essa, poco ragionata, arrivando a pagare la mancata consapevolezza delle differenti forze in campo. Questo scontro racconta la difficoltà di relazionarsi con qualcosa e qualcuno che sono cambiati, che non appartengono più alla società civile operosa, che non hanno più lo stesso linguaggio quotidiano: l’anziano, il comando, il potere detenuto per troppo tempo. E non solo: racconta anche la difficoltà della società attuale di relazionarsi con i cambiamenti, con l’incertezza, con la paura, preferendo purtroppo e lo vediamo nella quotidianità la violenza lo scontro la guerra anziché il confronto il dialogo e la diplomazia. Figura centrale in tutto ciò, determinante per la scelta, l’azione, le reazioni, è LEAR. L’anziano, il potere, il simbolo della costruzione che non si rinnova, che non è più in grado di ascoltare, che non è disposta ad adeguarsi al suo nuovo stato. In questo caso il percorso è una discesa negli inferi del rifiuto, dell’abbandono e della follia: solo gli strumenti che gli permetteranno una nuova relazione, purtroppo ormai tardiva. Ed è qui che avviene il forte cambiamento della nuova drammaturgia: il re nel rileggere il libro delle esperienze mette a nudo i passaggi necessari, che rivela a sé stesso e all’ascoltatore, per compiere il percorso per la saggezza. Due situazioni quindi: quella in movimento delle figlie e di Edmund e quella rigida di Lear, tendenti all’incontro / scontro nella tempesta che tutto rivoluziona. Scontro rappresentato dalle gonne delle sorelle, in contrapposizione con la pesantezza del trono reale. Oggetti/ambienti dai quali affrancarsi per il cambiamento risolutivo.
NOTE DELL’AUTORE
La drammaturgia parte da una lunga suggestione, che ha attraversato questi anni e che è venuta a concretizzarsi in più di una riscrittura, nella stagione invernale 2024, per noi di Casa Shakespeare, con lo scopo di mettere a confronto le generazioni e quello che le generazioni sentono, avvertono, di Lear e del suo ingombro, come personaggio, più spesso come simbolo di una instabilità che ha molto dell’attuale. Lear è diventato materia di studio dei nostri allievi, giovani ed adulti. Da lì lo scatto verso il Welfare Lear. Il titolo “Welfare Lear” mutua proprio dall’idea di centrare il tema che ci sta più a cuore, ossia: rileggendola all’oggi, qual è o quali sono le tematiche (al di là dell’assoluto scespiriano) che rendono così attuale la tragedia del Bardo?… ne abbiamo rinvenute due specifiche, ma altre sembrano poi partire da queste radici comuni per trovare casa nella scrittura: la difficoltà del sostegno alla vecchiaia e la follia; solo che l’una sembra conseguenza dell’altra. Il comportamento collerico di Lear, che si trasforma in una vera e propria follia, nella ridda di voci ed espressioni che irrompono nella tempesta, per esempio, nell’esilio lontano da casa (o da case), trova radice nello schianto al cuore con cui Lear è costretto a rimanere chiuso fuori, letteralmente, di casa, pur di non subire l’affronto dell’abbandono dei propri privilegi di casta e anzianità; sono terribili i discorsi delle figlie, tipici di chi non voglia proteggere gli affetti ma la “roba”, per dirla alla Verga; sono terribili e di una sconcertante attualità, quando apprendiamo storie di raccapriccio, di anziani lasciati a vegetare in Rsa, mentre la prole o non sa cosa fare o scientemente decide di lucrare, vivacchiare sulla “roba” acquisita. La follia è lo schianto del cuore per aver subito questo torto dopo aver comunque, bene o male, dato tutto, come dice Lear. Ecco allora che l’innocenza di Cordelia e lo specchio di Lear, che è il Fool, diventano, più che due concretezze, due immagini continue con cui Lear fa i conti… un po’ come se tutto quello che vedessimo venisse da lui; ecco che Gonerilla e Regana sono i poli all’opposto di questa trattazione sulla vecchiaia che è costretta a farsi mettere da parte, scontando la sottrazione; ecco che Edmund diventa lo “specchio” del pubblico, un interfaccia fra palco e pubblico, espressione di quanto le generazioni reclamino il proprio posto nel mondo, espressione della storia parallela, dell’azione subdola di chi dice “Ehi, ci sono anche io, il bastardo, e tu padre fatti da parte”; viva espressione di quanto lavori la cattiva coscienza della gente, ogni volta che pensa di rinunciare alla vecchiaia come deposito, bagaglio inesauribile, ineludibile, di memoria. Ecco la necessità di “leggere” da un e in un Grande Libro della Verità, il libro da cui prende vita la parola di Lear, come in un continuo “Mi ricordo, sì, io mi ricordo”, come a mettere pietra su pietra ciò che anche una mente presa dalla tempesta non potrebbe più scordare, parzialmente anche sentendosi in colpa, come a dire: per vivere in pace la mia vecchiaia io ho fatto peggio, guarda dove mi sono trascinato. Una lettura del Grande Libro, in un paesaggio immoto, in una scena che delimita le azioni, in una scena che si fa “stanza della tortura”, citando G. Macchia, e per il tempo “zippato” e rappreso, che è il tempo della memoria di Lear.
Welfare Lear. Ovvero come sopravvivere in vecchiaia alla tassa di successione e vivere più o meno felici, forse.
da “King Lear” di W. Shakespeare
drammaturgia e adattamento di Andrea de Manincor
Personaggi e interpreti:
Lear – Andrea de Manincor
Fool – Riccardo Bodini
Gonerilla – Sabrina Modenini
Regana – Giulia Cailotto
Cordelia – Giulia Lacorte
Edmund – Solimano Pontarollo
Regia di Solimano Pontarollo
Aiuto regia Beatrice Zuin – assistente alla regia Yanis Ndoye
Scene di Simone Tessari; Costumi disegnati da Beni Montresor
realizzati da Sartoria Fiore Milano, rielaborati da Caterina Duzzi
disegno luci di Francesco Bertolini
Grafiche di Elisa Toniolo
Ufficio stampa Maya Amenduni
Comunicazione Sarah Canzanella – Amministrazione Letizia Fine
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Andrea De Manincor