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La "vera" storia della banana appesa di Cattelan: la Bananadine, Donovan, Wharol, l'Arte e la genialità di un gallerista

La “vera” storia della banana appesa di Cattelan: la Bananadine, Donovan, Wharol, l’Arte e la genialità di un gallerista

di Ennio Bianco.

Berkeley, California, Stati Uniti, marzo del 1967.
In piena epoca hippies un settimanale underground lancia una campagna-provocazione sull’uso e la produzione di farmaci psicoattivi.
L’idea alla base della bufala (oggi la potremmo definire fake news) era che si poteva estrarre una sostanza psicotica dalla buccia di banana, la Bananadine, appunto.

La notizia, in quei “mitici anni ‘60”, si diffuse rapidamente: sono gli anni dell’LSD-25, della Marijuana, del Mescaline, del Psilocybin tratto dai funghi allucinogeni, sostanze che circolavano abbondantemente e che avevano “grandi esperti” e “promotori” tra artisti di tutti i livelli (John Cage, ad esempio).

La Bananadine divenne popolare anche grazie ad una concomitanza di avvenimenti.

Queste sono le copertine di “Mellow Yellow” (l’album e il singolo), titolo del brano del cantautore scozzese Donovan, pubblicato negli USA il 24 ottobre del 1966. A quel tempo si riteneva che la canzone parlasse del fumo di bucce di banana essiccate.

Il 6 agosto 1967, poco dopo l’uscita della canzone di Donovan, la bananadine viene addirittura descritta in un articolo del New York Times Magazine intitolato “Cool Talk About Hot Drugs“.

La bananadina divenne ancora più famosa quando William Powell spiegò il metodo per ottenerla in “The Anarchist Cookbook” nel 1970, sotto la voce: “Musa sapientum Bananadine“.

Questa è la ricetta:

  1. Prendi 15 libbre di banane gialle mature.
  2. Sbuccia le banane e mangia il frutto. Conserva e metti da parte la buccia.
  3. Con un coltello affilato, raschia le parti interne delle pelli e salva il materiale raschiato.
  4. Metti tutto il materiale raschiato in una pentola capiente e aggiungi acqua. Fai bollire per 3-4 ore fino a quando non ha raggiunto una consistenza solida di pasta.
  5. Distribuisci questa pasta su fogli di carta stagnola e asciugala in forno per circa 20-30 minuti. Otterrai una polvere nera fine (bananadine).
    Di solito si sentono gli effetti della bananadine dopo aver fumato tre o quattro sigarette.

Le “proprietà psichedeliche” della buccia di banana vengono trattate anche in un articolo di A.D. Krikorian pubblicato nella rivista New York Botanical Garden Press.

Ma torniamo al 1966 e parliamo ora del gruppo musicale dei Velvet Underground, un gruppo rock newyorkese formatosi un paio d’anni prima grazie all’incontro fra i giovani musicisti Lou Reed e John Cale.
In quell’anno il gruppo incontrò Andy Warhol e per la band cambiò tutto. Si trovarono di colpo a passare dai bassifondi newyorkesi agli ambienti creativi della Factory.
La reputazione artistica di Warhol aiutò molto la band a farsi un nome nel circuito underground newyorkese.
Warhol divenne quindi il manager del gruppo e, come prima cosa, suggerì loro di assumere come cantante l’attrice e modella tedesca Nico (Christa Paffgen), sua pupilla, giunta in America come compagna del chitarrista dei Rolling StonesBrian Jones.
Warhol procurò alla band un contratto discografico con la Verve Records, sussidiaria della MGM, per la realizzazione del loro disco d’esordio, dando carta bianca al gruppo nella ricerca del proprio sound e delle loro sperimentazioni sonore.
The Velvet Underground & Nico“, album di debutto della band, venne registrato negli Scepter Studios di New York durante l’aprile del 1966 e pubblicato dalla Verve Records nel marzo del 1967.

La copertina del disco è celebre per il disegno opera di Warhol: una banana gialla “sbucciabile” con l’indicazione “Peel slowly and see” stampata vicino. Chi rimuoveva la buccia di banana adesiva, vi trovava sotto un’allusiva banana di colore rosa.

Come si può notare oltre al disegno, non figurava né il nome del gruppo né quello della casa discografica, ma solo la firma dell’artista.

Trasferiamoci ora a Colonia negli anni ’80. Qui troviamo un mercato dell’arte tedesco in forte espansione del quale Colonia era la capitale indiscussa.
Berlino sarebbe venuta molto dopo e di globalizzazione non si parlava. Quindi, con New York e Londra, Colonia rappresentava uno dei tre grandi poli dell’arte contemporanea internazionale.
Le gallerie d’arte erano disseminate ovunque. Spesso non erano visibili dalla strada perché si trovavano nei cortili o nei piani alti dei palazzi.
Chi faceva il giro delle gallerie ben presto imparò a rintracciarle con una certa facilità cercando il simbolo di una Banana dipinta su una vetrina o su un muro esterno dell’edificio dal “Bananasprayer“.
Il nome di questo artista poco conosciuto allora è Thomas Baumgärtel.

Dapprima i proprietari di gallerie o musei si dettero da fare a ripulire la superficie rimuovendo la banana.
Per questi interventi Thomas Baumgärtel ebbe problemi con la giustizia e fu arrestato. Poi successe qualcosa che nessuno poteva immaginare. La Banana cambiò ben presto il suo significato è divenne un simbolo di luoghi d’arte straordinari. Oggi oltre 4000 Gallerie, Musei e Centri espositivi delle metropoli di tutto il mondo hanno adottato icona-banana creata dal “Bananasprayer”.

Torniamo negli USA. Siamo nell’ottobre del 2017 e la rivista New York decide di festeggiare il 50° anniversario con un numero speciale chiamato “My New York“. Così chiede a 50 artisti di proporre una copertina.

Maurizio Cattelan, in quel periodo è all’apice della sua fama newyorkese, l’anno prima aveva installato la sua scultura, realizzata in oro 18 carati, dal titolo “America” nella toilette del Solomon R. Guggenheim Museum.
Per la copertina del New York decide di usare una banana applicata con del nastro adesivo rosso.

Non è chiaro il perché abbia scelto questa composizione.
Probabilmente l’ha fatto pensando che quasi tutti gli altri artisti si sarebbero infilati nel tema della grande mela o forse ha voluto citare Warhol, il più grande protagonista della scena artistica newyorkese, o semplicemente ha usato il simbolo della banana ormai diventato l’icona dei luoghi straordinari dell’arte.

Paradossalmente più che la banana è il nastro adesivo il tratto distintivo di questa creazione di Cattelan. Egli infatti qualche anno prima durante una performance aveva appeso al muro con del nastro adesivo grigio il proprio gallerista Massimo de Carlo. Titolo dell’opera “Il Massimo appeso“.

Comunque una volta realizzata la copertina del New York nessuno ne aveva più parlato.

Eccoci ora nello stand della Galleria Perrotin ad Art Basel Miami.
La banana, questa volta appiccicata con il nastro adesivo grigio, viene esposta sulla parete dello stand e viene comunicato il prezzo dell’opera: 120.000 $. Titolo dell’opera “Comedian” (Comica).

In breve la notizia supera i confini fisici della fiera, raggiunge le riviste d’arte specializzate per infine deflagrare su tutta la stampa generalista internazionale. Vengono interpellati i critici d’arte e comincia il gioco delle interpretazioni (al quale sto contribuendo anch’io con questi miei appunti).
C’è chi cita la Eat art dell’artista svizzero Daniel Spoerri, chi definisce la banana come simbolo della desistenza sessuale, chi del commercio globale, chi semplicemente una goliardata, una burla, ma il dato di fatto è che ne parlano tutti.
Io penso che la vera genialità in tutta questa operazione sia stata del gallerista che ha deciso di quotare l’opera a 120.000 $.

A questo punto occorre spiegare che l’obiettivo di qualsiasi importante gallerista è quello di costruire il brand dell’artista, come si farebbe per un qualsiasi altro prodotto di consumo. L’attribuzione del valore alla cosa-opera, o all’evento-opera, avviene attraverso una costruzione del consenso sostenuta finanziariamente. Un’arte che crea shock (o che sia spettacolarizzata) risponde appieno a queste finalità. Lo shock è lo strumento operativo principe sia della comunicazione che della narrazione finalizzata alla valorizzazione dell’opera.
Quindi è importante che la narrazione continui a riverberarsi nella stampa generalista.
E così avviene.
Passano solo un paio di giorni e l’artista David Datuna si avvicina alla banana, la prende, la sbuccia e se la mangia.

Nessun problema afferma subito il gallerista, nessuna causa legale. L’opera non è tanto la banana in sé, ma l’idea che una banana possa essere un’opera d’arte. Oltretutto è già stata venduta in tre copie. Due collezionisti sono rimasti anonimi, mentre una terza edizione è stata acquistata da Sarah Andelman, fondatrice della boutique parigina Colette. Questa ha affermato che ha acquistato l’idea dell’opera per poi affittarla a Musei e Centri espositivi.

Vendute le tre copie e finita Art Basel Miami 2019, è sui social che si scatena il dibattito e prolificano le imitazioni e i così detti meme.

Alcuni di questi sono esilaranti:

Questi meme e molti altri ancora li potete trovate in Istagram alla voce cattelanbanana, l’account è @galerieperrotin.

Ennio Bianco

© articolo orginale: “Dalla “Bananadine” alla “Comedian”: la “vera” origine della banana appesa di Maurizio Cattelan” di Ennio Bianco / Redazione Cultura di arte.go.it, pubblicato sabato 14 dicembre 2019.